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Lo sprone del Quirinale

Nell’articolo di Lina Palmerini sul Sole 24 Ore, dedicato all’incontro fra il presidente della Repubblica e il governo in vista del Consiglio europeo di oggi e domani, si legge che il presidente del Consiglio avrebbe insistito “sulla necessità di creare una struttura unica per l’attuazione e il monitoraggio degli investimenti.” Ed avrebbe aggiunto che questa soluzione sarebbe indispensabile non solo per evitare la dispersione degli interventi, ma anche “per dare a Bruxelles un’unica interlocuzione italiana.” Si tratterebbe – scrive la Palmerini – “di un’impostazione condivisa dal capo dello Stato…con cui Conte vorrebbe presentarsi ai vertici europei forte di una struttura tecnica centralizzata che dovrà seguire l’attuazione del Recovery Fund.”

Il Commento Politico saluta con soddisfazione questo orientamento del governo. Si tratta dell’unica soluzione possibile su cui insistiamo da mesi. E tuttavia il ritardo con il quale il governo sta arrivando ad individuare la strada da percorrere comporta già delle conseguenze negative. Non avendo impostato da subito la questione della formulazione e della valutazione dei programmi di investimento, l’esecutivo adesso è alle prese con una congerie di programmi dei ministeri e il premier è costretto a pregare “i ministri di evitare inutili liste della spesa.” Ma questo indica soltanto che la nuova struttura non potrà occuparsi solo dell’attuazione e del monitoraggio (che già sono cose molto diverse fra loro) dei programmi, ma dovrà anche procedere alla valutazione di quali investimenti fare. E questo conduce al vero nodo del problema, alla domanda cruciale alla quale il governo non vuole o non sa rispondere. Con quali criteri verranno inclusi o esclusi i singoli programmi di investimento? Si tratterà di criteri economico-tecnici o di criteri politici? E se i criteri saranno politici, come potrà il governo di attribuire una parte dei fondi alle regioni e forse ai comuni? E, in questo caso, come potrà affidare “l’attuazione” dei programmi alla struttura dedicata? È evidente che se il piano è redatto con criteri “politici”, l’attuazione dovrà essere affidata agli enti proponenti e alla struttura dedicata resterà solo il monitoraggio, cioè sostanzialmente nulla.

Dunque il problema si pone a monte dell’attuazione e del monitoraggio. Il problema è quello della formulazione del piano e della coerenza con gli obiettivi macroeconomici di aumento del tasso di crescita e dell’occupazione.

Come si vede, il governo va lentamente nella direzione giusta, ma ci va tirato da Bruxelles e sollecitato dal Quirinale. Ci va cercando di conservare la discrezionalità politica cui evidentemente attribuisce un’importanza fondamentale. Non si rende conto che il vero salto di qualità sarebbe dimostrare al Paese e all’Europa lungimiranza e disinteresse. E, tuttavia, o il problema si imposta nei suoi termini corretti, oppure l’Italia andrà verso un risultato mediocre. Il presidente del Consiglio dovrebbe riflettere a fondo su questo problema e rendersi conto che serve una soluzione integralmente innovativa.

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