Lettera da Parigi
Si conclude il primo mese del 2022 in un clima di accentuata incertezza che incombe su noi tutti, in Europa e nel mondo intero.
Sono in discussione, sul piano nazionale, l'avvenire delle leadership e dello stesso concetto della rappresentanza popolare in molti Paesi chiave del Vecchio Continente. Sul piano globale, la pandemia minaccia la salute e il tenore di vita dei cittadini e risulta ulteriormente infragilita la tenuta degli equilibri mondiali e della pace.
Fino alle fondamenta stesse dei nostri sistemi democratici, messi alla prova dall'usura delle istituzioni e della politica tradizionale, i venti populisti, sovranisti e identitari scuotono alla radice l'architettura di insieme che ha sinora ospitato le società nazionali, verso la costruzione europea.
È proprio sugli interrogativi attorno al modello di società - ed al progetto per il futuro della comunità nazionale - che si va finalmente concentrando, a poco più di due mesi della fatidica scelta di aprile, la campagna elettorale in Francia, che il vicino rumore delle armi sembra aver risvegliato, distogliendola dall'angusto perimetro delle contrapposizioni ideologiche e demagogiche e persino dal monotematico incubo pandemico.
È in questo contesto, turbato quanto al destino dell'Europa dalle imperscrutabili incognite della situazione italiana e dall'ancora opaco esordio tedesco del dopo-Merkel, che si colloca il cruciale momento della scelta definitiva di Emmanuel Macron: prolungare per qualche settimana la privilegiata posizione di un Presidente intento sostanzialmente a governare, ma anche a lanciare continui segnali - talvolta subliminali - di tipo pre-elettorale, ovvero scendere dichiaratamente nell'agone, ufficializzando la candidatura per fare personalmente campagna contro i suoi tanti avversari politici e gli altrettanti oppositori nel Paese reale. Uno dei limiti, osservo, del funzionamento stesso di questo semi-presidenzialismo in caso di ricandidatura.
È un crinale davvero impervio quello su cui muove - in splendido isolamento - il giovane inquilino dell'Eliseo, cui certamente non sfugge il coro in crescendo di voci che gli ingiungono o lo scongiurano - a seconda che si tratti dei suoi detrattori o dei suoi sostenitori, uno zoccolo duro, quest'ultimo, che si mantiene invariato - di rompere alla svelta gli indugi e scoprire le sue carte sul tavolo. È sempre più difficile temporeggiare, sfidando la crescente impazienza dell'opinione popolare a fronte delle mezze frasi pronunciate a margine di cerimonie commemorative o di impegni internazionali, e mantenere vigile e impregiudicata l'attenzione degli elettori, sottoposti alle incalzanti e talvolta ultimative sollecitazioni che salgono oramai all'unisono, amplificate dalla risonanza mediatica, da tutte le opposizioni.
E lo è tanto più se si devono conciliare, ora più che mai, imperativi spesso contrapposti: individuare, per esempio, una linea vincente sul fronte delle misure sanitarie che non disperda il credito finora maturato ma sappia anche rispondere all'impaziente richiesta di un allentamento dei freni che neppure gli ancora esponenziali dati numerici sui contagi e i decessi valgono a temperare. E su questa linea, integrare un chiaro segnale di attenzione progettuale in campo economico-sociale.
Il pur positivo bilancio del quinquennio - in particolare la spettacolare diminuzione del numero dei disoccupati - non sembra infatti sufficiente a dare risposte apprezzabili all'elettorato che ha in poco tempo sovvertito l'ordine delle priorità collocando al primo posto, malgrado la pandemia, il tema del potere di acquisto di fronte al galoppare delle tariffe energetiche ed all'aumento dell'inflazione. E che si tratti anche di un problema di percezione collettiva più che il frutto di una lucida disamina dei dati statistici, rileva in fondo relativamente poco sul piano della campagna elettorale e dell'ascolto dei cittadini. Più indietro nella lista compaiono invece, nel malcelato disappunto dei più radicali, le tematiche della sicurezza e dell'immigrazione.
Chi conosce ed appoggia l'avventura del Presidente e la sua sfida alla vecchia politica, in nome del superamento della divaricazione tradizionale fra destra e sinistra e della rinnovata fede europea, ritiene che questo complesso intreccio di tematiche e di auspicate soluzioni, potrà essere meglio inteso, e forse più largamente condiviso, quando verrà allo scoperto il progetto di insieme per la società francese che Macron intende rilanciare per il futuro.
Occorre cioè che la road map maturata in una visione riformista, illuminata, nel segno moderato della ragione ed assieme dell'Europa, emerga ormai in piena luce per contrapporsi a quelle che la maggior parte dei commentatori considerano strategie ancor oggi incomplete, quando non poco credibili, messe in campo dai vari oppositori.
Stando anche ai tanti segnali premonitori trapelati negli ultimi mesi e di recente tratteggiati dallo stesso Macron nelle sue ben orchestrate apparizioni pubbliche, la strategia programmatica sembra oramai molto prossima al varo definitivo; per il resto, l'intendance suivra... anzi è anch'essa in avanzato grado di predisposizione, se si dà fede ai tanti bisbigli cittadini che già raccontano nei particolari l'attivismo - e l'articolazione - della squadra operativa da dispiegare sul terreno, sotto la discreta supervisione dei fedelissimi, e nel raccordo costante e per ora "sottotraccia" del Segretario Generale dell'Eliseo, inseparabile e silenzioso compagno di strada del Presidente.
La domanda che ci si pone in questa vigilia e nella trepida attesa di un annuncio che potrebbe cadere in qualsiasi momento, è quanto peserà sul franco e costruttivo raffronto dei programmi, la politica-spettacolo, col suo corredo di fake news e di spregiudicati scoops mediatici, che mirerà soprattutto a cavalcare la prepotente - e per ora numericamente insondabile - voglia di cambiamento, quel dégagismo ad ogni costo (la rottamazione alla francese) di chi, a prescindere dalla sostanza, vuole anzitutto... "liberarsi" di Macron.
l'Abate Galiani
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