Lettera da Parigi
La dinamica innescata dalla crisi dell’ex Fronte Nazionale e dal fermento dei Repubblicani per la designazione del loro prossimo “campione” continua a produrre inquietudine nella destra francese. Tuttavia, sebbene discordanti, le tante voci del fronte antagonista al Governo rispondono a una parola d’ordine comune, restituire alla nazione la “grandeur” di un tempo.
L’obiettivo può apparire generico – se non semplicemente velleitario: si tratta però di un richiamo alla storia del Paese e all’orgoglio nazionale che non è mai mancato nelle vigilie elettorali cruciali, connaturato all’essenza stessa della costituzione gollista e al sistema semipresidenziale in vigore.
Il Generale de Gaulle intendeva l’elezione a suffragio universale del Presidente come il momento dell’incontro fra il popolo e un uomo (o una donna, si aggiunge oggi…) da cui ogni volta doveva forgiarsi il destino della Francia, a garanzia della sua prosperità e della sua gloria. Persino François Hollande, nell’estate del 2011, si guardò bene dall’incrinare quel sentimento di coesione nazionale che la sciagurata scelta libica aveva, quasi unanimemente, ricomposto attorno ad un Sarkozy in declino e che solo una esigua pattuglia socialista dissidente aveva invano tentato di contrastare in Parlamento.
Il nazionalismo ed il rimpianto nostalgico del passato rappresentano, anche oggi, gli ingredienti principali dei pur differenziati tentativi messi in atto a destra per occupare spazi crescenti di iniziativa. E se Macron insiste a voler inquadrare il sentimento di fierezza nazionale in una prospettiva che guarda all’avvenire, e quindi ad un orizzonte innanzitutto europeo, i suoi avversari non esitano a fare ricorso ad un armamentario usurato, ma in sintonia con il modo di sentire di molti francesi.
Il generico richiamo alla grandezza passata non è solo il “credo” degli aderenti al Rassemblement National, ma anche, con distinzioni appena percettibili, l’insieme delle dichiarazioni di intenti di tutti coloro che, a destra, brigano (per ora litigiosamente) l’ambita candidatura al primo turno.
Tutti i pre-posizionamenti dei possibili candidati di destra sono intrisi di richiami al superamento della presunta attuale marginalità della Francia in Europa e nel mondo. La sostanza è in fondo la stessa, ma il linguaggio diventa aggressivo ed a tratti esasperato, quando, con la diretta ingerenza dei media (e di grandi manovre in atto intorno ad alcune testate radiotelevisive) emergono più o meno espliciti tentativi di conquistare il territorio finora monopolio dell’ex Fronte Nazionale, immaginando persino sortite per scavalcarlo a destra o, quantomeno per neutralizzare sul nascere le timide aperture al centro di Marine Le Pen.
Principale protagonista dietro le quinte di questa tendenza è la quarta fra le reti televisive di informazione continua, Cnews di proprietà del gruppo Canal Plus, di recente passato sotto il controllo di Vivendi e di Vincent Bolloré.
Definita oramai la Fox di Francia, Cnews ha superato, collocandosi al primo posto per ascolti, sia BFMTV che LCI e distanziato ampiamente France Info, parte di France Télévisions, sotto il controllo statale.
Proprio in questi giorni si va concludendo la scalata di Vivendi alla molto popolare Europe1, stazione radiofonica di grande seguito; a farne le spese, il Gruppo Lagardère (che controlla ancora Hachette, il Journal du Dimanche e Paris Match) sinora in buona sintonia con le idee di Macron. Alle proteste sindacali dei dipendenti e alla netta virata in senso reazionario impressa ai notiziari e ai talk shows di Cnews (con quello che sembra l’ordine di scuderia di criticare sempre e comunque il Presidente) non sono restati indifferenti la politica e l’Eliseo.
Si narra di un incontro, rimasto riservato e forse patrocinato da Nicolas Sarkozy, fra Vincent Bolloré e Emmanuel Macron che non sarebbe valso a ricucire il burrascoso rapporto fra i due; se è vero che il Presidente avrebbe – con la sua mordente ironia – rimproverato all’uomo d’affari di “voler comprare tutto” e quindi di voler imporre il suo predominio sui media indipendenti.
Il merito principale della razzia di ascolti ad opera di Cnews va indubbiamente ascritto alla dilagante presenza sulla rete del noto e controverso polemista Eric Zemmour in straordinaria ascesa di audience; a differenza del non sempre elevato numero di tirature dei suoi tanti scritti che per eterodossia ideologica e storica hanno ripetutamente attirato l’attenzione della magistratura. Per esempio, per istigazione al razzismo, per l’apodittica difesa di Pétain, cui andrebbe, secondo lui, il merito di aver contribuito alla deportazione di ebrei di origine straniera, selezionati a tutela degli autoctoni.
Certo Zemmour, francese di Algeria, di ascendenza ebraica e di origini berbere, non è “cavalier seul” negli studi di Canal Plus: lo attorniano, abilmente reclutati dalla nuova proprietà, una serie di comprimari di comprovata fede conservatrice che – con tecniche di comunicazione ispirate al litigioso “parlarsi sopra”, poco abituale qui in Francia – dicono la loro su tutto. Prevalgono, quindi, e conquistano adepti, alcuni ossessivi “leit motiv” che vanno dallo scetticismo antivaccinale all’antiislamismo più intransigente; dalla lotta senza quartiere all’immigrazione, alla nostalgia per l’ideale napoleonico e poi vetero-gollista; dall’antifemminismo e all’opposizione ad ogni avanzamento nel campo delle famiglie omossessuali e della fecondazione assistita, sino alla malcelata avversione ad ogni idea di integrazione politica europea, non meno che un latente e un po’ livoroso sentimento antiamericano diffuso.
È vero che – in omaggio al principio del contradditorio – compaiono talvolta in confronti diretti con Zemmour personaggi della notorietà del filosofo Raphael Enthoven, o del politologo della “gauche caviar” Bernard Henri- Levy. Ma la capacità dialettica e il solido background di storico di Zemmour, unita alla sicumera con la quale snocciola dati e notizie che non di rado risultano fake news, ha per lo più il sopravvento.
In questi giorni circola la voce di una imminente “autocandidatura” di Zemmour all’Eliseo, quale indipendente di destra. A convincerlo sarebbero state soprattutto la flessione di Marine Le Pen alle Regionali e l’affermazione, nella destra classica, di personalità considerate troppo tiepide nel proporre misure drastiche contro l’Islam radicale e l’immigrazione.
La prova della sua ormai prossima discesa in campo sarebbe la produzione di materiale di propaganda elettorale e l’affiancamento di “coach” esperti soprattutto in materie economiche ed in gestione amministrativa. Anch’essi, tutti prescelti nell’ambito più intransigente della destra conservatrice ed ammaestrati da riviste emergenti come Valeurs Actuelles, ma anche da periodici o blogs più moderati che perseguono, in particolare, i valori della destra cristiana tradizionalista.
D’altronde, Zemmour avrebbe già scelto il suo slogan – “Vox Populi”- destinato a trasformarsi nel nome del suo movimento nella campagna elettorale del prossimo anno. L’assonanza con “Via”- La Voie du Peuple della nuova formazione demo-cristiana che fa capo a Christine Boutin e a Jean Fréderic Poisson (quest’ultimo si fece spazio nelle primarie dei Républicains nel 2016) conferma i contatti sotterranei fra il commentatore televisivo e l’arcipelago della destra tradizionalista: futuri potenziali obiettivi, le alleanze con Dupont Aignan (alleato di Marine Le Pen e suo Primo Ministro in pectore nel 2017) o con il vandeano e sovranista Visconte de Villiers.
Di quest’ultimo, Zemmour si è già assicurato il sostegno morale, dopo la clamorosa sospensione del contratto da parte della comune casa editrice Albin Michel, nota per la sua prudente linea centrista. È stata in tal modo annullata l’uscita in libreria del saggio dello stesso Zemmour nell’autunno prossimo, che doveva rappresentare il “manifesto programmatico” di “Vox Populi” in vista dell’annuncio formale della candidatura, in occasione della fatidica ricorrenza dell’11 novembre, data simbolo della vittoria nel 1918 della grande Francia di Clémenceau.
Se de Villiers, per solidarietà, si è polemicamente auto-sospeso da Albin Michel (che aveva in catalogo il suo prossimo scritto) non mancano, anche nel campo dei suoi sostenitori, quelli che mettono in guardia Zemmour, ricordandogli che nessuno è mai riuscito a entrare con successo nella riserva di caccia del Fronte e poi del Rassemblement National senza far parte del Clan Le Pen; ma è significativo che fra coloro che, invece, lo incoraggiano figuri Marion Maréchal, la nipote eresiarca di Marine.
Forse, Zemmour e i suoi accoliti non arrivano ad immaginare di poter conquistare l’Eliseo nel 2022. Ma certamente intendono agire da pungolo su Marine Le Pen per spingerla a tornare su posizioni più estreme (più contrasto all’immigrazione e all’Unione Europea). Ed al tempo stesso, sparigliare del tutto il composito quadro della destra classica, favorendone la linea più oltranzista e combattendo ogni tentazione di intesa con il campo di Macron. A ciascuno il suo populismo e la sua interpretazione del sovranismo...
l’Abate Galiani
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