Lettera da Parigi
La settimana appena trascorsa è stata particolarmente significativa per la vita politica francese, ricca di iniziative nuove e di esternazioni pubbliche, talvolta “a sorpresa”, che hanno visto protagonisti soprattutto il Presidente Macron ed i massimi esponenti della potenziale alleanza che va profilandosi a favore della sua ricandidatura.
Sembra finalmente incrinarsi la compattezza del fronte mediatico, sinora totalmente concentrato sul fenomeno Zemmour, sulla sua irresistibile ascesa e sul tenebroso orizzonte di una Francia ripiegata su stessa, interamente assorbita dal nostalgico rimpianto dell’identità perduta.
Si moltiplicano in questa direzione, reazioni più o meno esplicite di denuncia delle distorsioni e delle mendaci raffigurazioni politiche, sociali e persino storiche cui fanno continuamente ricorso gli araldi del populismo e del sovranismo, con in testa il noto polemista dell’ultra-destra. Persino Marine Le Pen, forse perché costretta nell’angolo dall’inarrestabile “capitombolo” nel responso dei sondaggi, ingiunge a Zemmour, oramai senza mezzi termini, di dichiararsi formalmente candidato, per costringerlo a passare dalla demagogia tribunizia a un programma e di credibili proposte di Governo.
Ma è soprattutto nel campo allargato dei sostenitori del Presidente che si registrano le prese di posizione più significative.
Macron ha dato numerosi segnali pubblici della strategia che intende seguire senza cadere in una sminuente contrapposizione frontale con l’avversario. Ha saputo cioè valorizzare alcune scadenze dell’attualità internazionale o celebrazioni “memoriali” per tracciare la sua rappresentazione pragmatica ma al tempo stesso anticipatrice del ruolo della Francia per il futuro.
Il tema di una riflessione aggiornata sul passato coloniale della Francia, con riferimento specifico alla piaga ancora non rimarginata della guerra d’Algeria e, più in generale, al peculiare rapporto intrattenuto con il Continente africano, è stato ripetutamente “rivisitato” in queste ultime settimane.
Dapprima, con una giornata interamente dedicata, a fine settembre, alla questione degli harkis – le truppe ausiliarie di religione mussulmana che avevano combattuto a fianco dei francesi in Algeria – ostracizzati ed in molti casi massacrati in patria ed ai cui superstiti e discendenti furono riservati in Francia un’accoglienza ed un trattamento al limite della discriminazione.
Nel ricevere alcuni veterani ed i loro familiari nella solenne cornice dell’Eliseo, Macron ha formalmente chiesto loro perdono a nome della Francia ed ha colto l’occasione per riaprire il dossier delle relazioni con il Maghreb. Con il corollario immediato sullo scottante versante migratorio della riduzione dell’elargizione di visti di ingresso ai tre Paesi maghrebini, per l’inosservanza da parte loro degli accordi di riammissione esistenti. La fermezza del Presidente e i termini a cui ha fatto ricorso, per sollecitare relazioni più avanzate ed il superamento delle incomprensioni del passato, hanno condotto a non poche turbative ancora in atto con Rabat, Tunisi e soprattutto Algeri (con il richiamo dei due Ambasciatori); ma anche il plauso trasversale di una maggioranza di opinionisti ed esponenti politici.
In parallelo, il Presidente ha aperto a Montpellier una versione totalmente innovativa dell’annuale Vertice con il Continente africano, cancellando il vecchio, paternalistico appellativo di “France-Afrique” e sostituendolo con la designazione più anodina di Sommet Afrique-France; ma soprattutto riservandone la partecipazione alla sole società civili, con folte rappresentanze giovanili con cui Macron si è personalmente e lungamente intrattenuto per gettare le basi di un nuovo rapporto privilegiato (fondato sugli speciali legami anche culturali e linguistici, riassunto dal neologismo di conio presidenziale dell’ “africanité” della Francia) con il Continente destinato a breve a divenire il più popoloso del mondo. In quasi perfetta sincronia, si è svolta ieri al Panthéon – sorta di duomo della laicità repubblicana – la commemorazione del quarantesimo anniversario dell’abolizione della pena di morte, alla presenza del suo principale fautore, l’ex Guardasigilli di Mitterrand, Robert Badinter.
Il vibrante ed ancora combattivo discorso dell’ultranovantenne paladino dei diritti dell’uomo ha consentito al Presidente nella sua replica di “attualizzare” l’argomento e di annunciare le iniziative che la Francia adotterà sul tema dell’abolizione della pena capitale nel mondo durante il prossimo semestre di Presidenza UE, con un grande simposio delle società civili dei Paesi che ancora vi fanno ricorso, e con la presentazione di una apposita risoluzione alle Nazioni Unite, non solo a titolo nazionale, ma a nome dei partners europei.
Ma la novità più eclatante, che si rivelerà certamente determinante se non per l’esito finale dell’elezione, quanto meno per lo svolgimento degli ultimi sei mesi della campagna, è stato l’atteso annuncio della fondazione da parte dell’ex Primo Ministro di Macron, Edouard Philippe, del nuovo movimento politico da lui ideato, dopo mesi di ponderazione e di networking.
L’obiettivo dichiarato dell’attuale sindaco di Le Havre, già neo gollista moderato, sodale di Alain Juppé, è quello di sostenere la ricandidatura del Presidente e di colmare quel vuoto che la rottamazione avviata da En Marche nel 2017 ha provocato tanto a destra come a sinistra; ma, più ancora, nella vecchia mentalità “politicienne”, e persino negli stessi consolidati assetti ed equilibri fra opposti schieramenti, sclerotizzati dall’esasperata interpretazione del bipolarismo propria del sistema semi-presidenziale.
Il lungo, articolato intervento di Philippe in un clima acceso di entusiasmo ed alla presenza di più di tremila partecipanti (seicento almeno dei quali eletti regionali e numerosissimi sindaci) ha fatto l’effetto di un macino nello stagno in cui languiva il dibattito politico. Il garbo ed il tratto elegante di Philippe, che hanno contribuito a farne oggi l’uomo politico più gradito ai francesi, ma anche la misura e l’equilibrio delle sue proposte, hanno sconcertato anzitutto i commentatori, oramai pigramente adusi a dar conto delle liti di cortile nella “famiglia” post-gollista o a monitorare gli effetti dei vituperi incrociati fra opposti estremisti e in seno all’ultra-destra.
Lo choc si è poi rapidamente propagato negli ambienti politici e nei partiti, specie Les Républicains, che si sono per ora trincerati dietro dichiarazioni visibilmente imbarazzate ed attendiste, rimpiangendo certamente l’ennesimo errore tattico; quello di essersi fatti sorprendere ancora intenti alle “grandi” (e poco trasparenti) manovre in atto per la designazione di un loro campione, mentre uno dei “loro” rivendicando l’autonomia e la lealtà della scelta compiuta, si schiera apertamente a fianco del Presidente uscente.
Horizons (al plurale): così sarà battezzato il nuovo movimento, destinato negli annunci di Philippe ad assumere struttura, configurazione e statuto di Partito vero e proprio, con tanto di congresso iniziale, di qui alla fine dell’anno.
Va sottolineata la fermezza con la quale il fondatore di Horizons ha voluto dichiarare il suo sostegno alla rielezione di Macron: un'impresa, ha significativamente sottolineato, che nella tradizione francese è solitamente più ardua della prima ascesa al soglio presidenziale (riuscita solo a François Mitterrand e a Jacques Chirac, entrambe in regime di coabitazione). Un secondo mandato di fila richiede quindi imperativamente l’allargamento di una coalizione fra tutti coloro che individuano nell’incumbent l’uomo più adatto a guidare la Francia. Tanto più alla fine di un mandato complesso, contrassegnato da crisi a ripetizione e da forti movimenti di piazza, che hanno lasciato strascichi dolorosi nell’animo dei francesi e una non sempre equanime ed equilibrata consapevolezza dei meriti che vanno riconosciuti a chi li ha sinora guidati.
Continuando a sparigliare le carte della partita elettorale, Philippe ha messo soprattutto in risalto i punti che lo accomunano a Macron. Deludendo forse coloro che ravvisano prevalentemente nella sua iniziativa la inconfessata strategia di porsi fin d’ora come suo potenziale successore nel 2027, e di impadronirsi da subito dei cocci della sua rottamazione, ha rilevato come l’orizzonte che si prefigge in sintonia con il pensiero di Macron è quello di una Francia riformata e rilanciata da una strategia che guarda al primo cinquantennio del secolo.
Un orizzonte consacrato nella Carta dei Valori del futuro Partito, non dissimile da quella su cui si fondò l’operazione En Marche: ed a confermare la sua lealtà, ha preannunciato che il nuovo Partito prevederà espressamente nel suo statuto fondativo, l’ammissibilità della contestuale appartenenza e del doppio tesseramento Horizons-République en Marche.
Anche oggi, la stampa e tutti i media, così come molti interventi di esponenti politici si concentrano sulla improvvisa apparizione di questa nuova “offerta” politica, perplessi e per lo più scettici quanto alla novità che rappresenta, in un panorama interamente dominato dalla tradizione bipolare e dall’ostilità maturata in oltre mezzo secolo di contenimento del ruolo del Parlamento, per le coalizioni e i compromessi fra partiti e all’interno degli schieramenti. Un segnale ulteriore, questo, che il disegno originario di Macron, cui si affianca oggi con Philippe una componente potenzialmente rilevante del centro-destra e della determinante rappresentanza dei territori, comporta una radicale revisione del modus operandi della “Cinquième République”.
La deflagrazione registratasi a Le Havre potrebbe in effetti anche rappresentare un infragilimento della attuale maggioranza presidenziale e degli stati d’animo dei tradizionali alleati di centro e della corrente di sinistra del macronismo, per ora gratificata dalle mosse del Presidente sul fronte della rievocazione storica e degli omaggi resi pubblicamente alla memoria di Mitterrand.
Tutti concordano nel temperare gli entusiasmi e fanno a gara ad echeggiare il monito che una rielezione del Presidente è ancora lungi dal potersi considerare acquisita.
l’Abate Galiani
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