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Nella ormai consueta spettacolarizzazione dell’informazione, troppo spesso a farne le spese sono il semplice buon gusto, sia dal punto di vista etico che estetico, il rispetto, nelle sue regole più elementari, e aggiungerei quella compassione/condivisione che ci fa provare emozioni di fronte ai limiti della vita umana. Lo scorso 9 aprile è morto a Londra il duca di Edimburgo. Filippo, novantanovenne marito della regina Elisabetta. Sabato 17 aprile il suo funerale, non di Stato e né con particolari onori come espressamente chiesto dal principe nelle sue volontà testamentarie, sarà celebrato nel castello di Windsor alla presenza di una ristretta cerchia di familiari, e sarà trasmesso in diretta televisiva mondiale. Si chiude un’epoca.

Otto giorni di lutto nazionale in Inghilterra, la BBC per 26 ore sospende i programmi sia televisivi che radiofonici sostituendoli con documentari, interviste e testimonianze a ricordare la singolare e complessa figura del duca di Edimburgo. L’affetto dei sudditi di sua maestà per il consorte che è stato per 73 anni al suo fianco è stato e sarà manifestato in tante forme, ricordandone la biografia, il carattere, il sorriso a tratti sardonico e svelando, per l’ormai inevitabile amore del gossip che fa vendere più copie anche ai giornali, lettere private tra lui e Lady Diana, mentre i più si chiedono cosa verrà fuori dal primo incontro di Harry con la sua famiglia dopo lo “strappo” americano. Fin qui tutto già visto e molto già detto. Ma possibile che a funerale non ancora avvenuto, mentre i cronisti e i conduttori inglesi sono vestiti in nero (le donne) o con cravatta nera (gli uomini) nel salotto trash di Barbara D’Urso ci si chieda quanto e come e se e dove il principe abbia tradito Elisabetta? In segno di rispetto verso la pubblica opinione, i responsabili della BBC hanno accolto anche le proteste di chi contestava il troppo spazio dedicato all’evento funesto, ribadendo però di essere orgogliosi della copertura mediatica riservata al principe. Se la morte di Lady Diana è stata uno degli eventi mediatici del cosiddetto secolo breve più seguiti al mondo, quella di Filippo presumo avrà il suo inevitabile seguito di biografi con tanto di libri e rivelazioni e testimonianze a futura memoria, ma almeno non sarà soffusa da quell’alone di morboso mistero che ancora circonda la figura della sua amata e a volte contestata nuora Diana.

La televisione amplifica le emozioni basiche, a volte in modo inconsapevole “dimenticandosi” del possibile fragile fruitore, altre proprio alla ricerca di quelle curiosità talvolta patologiche che contraddistinguono l’essere umano. Penso ai due eventi mediatici legati alla scomparsa di Denise Pipitone e ora di un altro bambino, Mauro Romano, rapito in Puglia nel 1977. Due storie diverse che i frequentatori del bel programma “Chi l’ha visto?”, condotto da Federica Sciarelli, avranno senz’altro seguito. Smontata la storia della ragazza russa Olesya - tutta costruita per calamitare attenzione ed ascolti da parte della tv russa e inevitabilmente rimbalzata su quella italiana - sta montando un altro caso in cui la madre di un bimbo rapito 44 anni fa “riconosce” nelle foto dello sceicco Al Habtoor due cicatrici su un sopracciglio e su una mano che il piccolo Mauro aveva già quando scomparve. Lo sceicco è uno degli uomini più ricchi del mondo e gli elementi denaro e potere difficilmente semplificheranno la richiesta e le procedure per ottenere, come vuole l’ormai anziana madre, la prova del DNA. Ancora un giallo. E a proposito di gialli, è da sottolineare l’enorme successo che ormai da anni in Italia come nel resto del mondo hanno tutte le serie poliziesco/criminali che hanno preso il via negli anni 70 in America, per propagarsi poi in ogni dove. Che si tratti dei cosiddetti true crime o di storie inventate, il successo si propaga premiando i produttori. Non è certo un fenomeno nuovo - basti pensare ad Edgar Allan Poe che già nell’800 si cimentava con racconti di cronaca nera - ma sicuramente ha assunto attenzioni e proporzioni non immaginabili anche nel nostro paese. E torniamo ai dubbi etici: nel caso dei true crime è giusto trasformare tragedie di persone e famiglie in show? È giusto alimentare il senso di frustrazione che deriva dal fatto che molti casi siano rimasti irrisolti? Altro sono i polizieschi o la serie italiana di Montalbano che in confronto fanno sorridere, ma che sono vissuti in modo così “reale” che quando il commissario ha lasciato al telefono la sua donna si sono versati fiumi di inchiostro di uomini e soprattutto donne che hanno trovato “immorale” la scelta degli autori. Ed eccoci arrivati a Pietro Castellitto che con una alzata di spalle verso il Me Too dichiara che il movimento sia un monumento di ipocrisia. Ora è nel mirino del web e di molti giornalisti. Non è stato politicamente corretto, dichiara Gramellini e molti altri colleghi, ha citato Nietzsche e la sua filosofia e la sua esternazione che pur ha avuto diversi fans non sarà destinata a spegnersi presto. Chi la pensa in modo diverso, in questo mondo dove tutto rimbalza mediaticamente attraverso i social, non ha molto diritto di esistere a meno che non abbia spalle larghe a sopportare gli insulti. Ultimi quelli rivolti a Belen che ha pubblicato le sue foto della vacanza alle Maldive. Come si è permessa in tempo di pandemia di celebrare tanta bellezza? I cosiddetti haters da tastiera sono al lavoro.

E chi in questo momento difficilissimo si mostra anche solo un pochino felice è meglio che chieda una nuova nazionalità.


Danila Bonito

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