Lettera da Parigi
Vi è da chiedersi se l’interrogativo che con crescente insistenza si pongono i media e i commentatori di ogni fede politica sul declino della Francia e del suo ruolo nel mondo sia davvero così poco pertinente ed esageratamente ingigantito. E, ancor di più, se nasca unicamente da una cronica ipertrofia dell’ego nazionale e dalla crescente frustrazione di un’innata vocazione alla “grandeur”, andata appannandosi con l’istaurarsi della mondializzazione. O non costituisca anche e soprattutto il riflesso di un progressivo impoverimento ideale e culturale della società nel suo insieme.
Anziché dedicarsi a nuove idee e nuove progettualità, o quantomeno all’impegno per l’avanzamento e l’ammodernamento dell’esistente, si preferisce – in altre parole – crogiolarsi nella nostalgica reminiscenza di un glorioso passato, attribuendone la graduale, inarrestabile dissolvenza a fattori esogeni e comunque perniciosi.
In tutti i campi, prevale, nella narrazione che viene quotidianamente propinata alla pubblica opinione, una visione immiserita e ombelicale della realtà. Si accentua così la virulenza della polemica fra parti ed opinioni contrapposte, mentre la portata e la rilevanza della progettualità e del dialogo si circoscrive a miope e sterile presidio degli orticelli di ciascuno.
Questo accade, anzitutto, in politica: con il tramonto della tradizionale dialettica fra destra e sinistra, ciascuno degli schieramenti contrapposti va conoscendo un logoramento asimmetrico per dimensioni, ma non dissimile nella sostanza.
A dispetto della grande tradizione socialista francese e malgrado l’iniezione di nuovi apporti ideali e programmatici connaturati con la priorità ambientale, la sinistra è ormai a un passo dalla scomparsa: a tal segno che l’espressione di “morte cerebrale” risuona ormai testualmente nelle preoccupate dichiarazioni pubbliche di suoi antichi esponenti, ed in particolare di coloro che si adoperano per consolidare l’ala progressista del progetto di Macron. Vi ha fatto esplicito ricorso il Ministro del Bilancio Dussopt, che del movimento “Territoires et Progrès” (considerato l’ala avanzata della maggioranza presidenziale) è il promotore e il responsabile.
Ma se Atene piange … Un analogo processo di impoverimento e di consunzione interna sembra colpire la destra repubblicana e, più specificamente, il neo-gollismo, un movimento politico conservatore, ricco sinora di sfumature dialettiche e di anime coesistenti e dialoganti, talvolta racchiuse in partiti distinti fra loro alleati, spesso conflittuali ma sempre coesi verso l’obiettivo del “rassemblement”, come nelle scelte e nelle strategie vincenti per l’elezione di quattro dei sette Presidenti della Quinta Repubblica.
Anche il Gollismo è in crisi e, se la Gauche viene data già per scomparsa, il movimento degli epigoni del Generale è considerato ad altissimo rischio di estinzione nell’ipotesi di una mancata qualificazione, per il secondo turno delle presidenziali, del suo ancora indeterminato rappresentante o di una sua sconfitta nel confronto finale con Macron.
E, come a sinistra, il campo di visione e di proposte dei cinque neogollisti contendenti la nomination nel congresso del prossimo fine settimana, appare rimpicciolito, immiserito e privo di ogni sostanziale spunto innovativo. Il nocciolo duro comune ai principali aspiranti alla candidatura rimane l’improbabile ancoraggio all’essenza del programma tracciato da Fillon nel 2017 per la sua sfortunata avventura, considerato unanimemente il più conservatore dal dopoguerra, in materia soprattutto economica. Una linea incarnata da Eric Ciotti e che va provocando nuove defezioni nella famiglia neo-gollista (come quella del Presidente della Regione Paca, Muselier) in una erosione carsica che Edouard Philippe va seguendo da vicino. E che suggerisce le sortite più esplicite dei Ministri dell’Interno e dell’Economia, entrambi provenienti dalle fila del gollismo, intese a sottolineare come sia in realtà Macron ad incarnare al meglio l’essenza di quella tradizione.
Per il resto, continua la gara, a volte del tutto contradittoria con gli specifici percorsi e le personalità stesse dei candidati, all’inseguimento delle tesi più oltranziste di Zemmour e della Le Pen, specie in materia di immigrazione, di ordine pubblico e di giustizia. Anch’essi del resto rimangono “prigionieri” dei loro angusti perimetri ideologici e programmatici, il primo ormai contestato pubblicamente e la seconda intenta furbescamente a trarre vantaggio dei crescenti inciampi del rivale.
L’intellighenzia, con rare eccezioni e poche voci fuori dal coro, sembra adeguarsi a questa sorta di “pensiero unico”, e gli implacabili media – in particolare le reti di informazione continuata, pur nella loro diversificazione ideologica – si attengono a protocolli monotoni, monocordi e omissivi. La preoccupante recrudescenza della pandemia sembra anzi aver loro offerto un alibi, ad evitare di dovere articolare e sviluppare i loro commenti e le loro analisi.
Da ultimo, la visita del Presidente Macron a Roma e la cerimonia della firma del Trattato del Quirinale, sono passate qui praticamente sotto silenzio, seguite solo dalle reti televisive italiane, per utenti abbonati, e riportate in sintetici trafiletti nei quotidiani del giorno dopo. Il solo fotogramma ritraente Macron intento a stigmatizzare i comportamenti di Johnson nella crisi migratoria in atto a Calais – ripetutamente mandato in onda dalle televisioni – è stato presentato con le sole bandiere francesi sullo sfondo e senza nessun riferimento alla conferenza stampa in atto a Villa Madama a fianco del Presidente Draghi.
Eppure, si continua ad evocare – non senza un diffuso e compiaciuto senso di fierezza nazionale – l’ormai prossimo inizio della Presidenza francese dell’UE. Ma, forse per timore di riservare sul piano nazionale spazio eccessivo al Presidente-candidato, non si guarda alla sostanza di quel traguardo e agli obiettivi che Emmanuel Macron va lucidamente prefiggendosi in chiave europea, con il riequilibrio verso Roma (e un domani Madrid) dell’asse centrale franco-tedesco all’alba del cancellierato Scholtz, ed in presenza del moltiplicarsi delle accese divergenze franco-britanniche, delle tensioni geopolitiche globali, del comune sentire franco-italiano (dopo il superamento di incomprensioni e punture di spillo) specie in materia di Europa della Difesa, di Mediterraneo e di collaborazione industriale e tecnologica avanzata.
Le suggestive immagini della giornata romana di Macron, la plastica raffigurazione dell’intesa fraterna con il Presidente Mattarella e con il Presidente del Consiglio Draghi sono state sottratte agli occhi dei francesi. Eppure, nel post ufficiale pubblicato sui canali social dell’Eliseo, traspare non soltanto la carica emotiva, ma anche la sostanziale portata progettuale attribuita dal Presidente alla sua ultima trasferta romana: i media lo hanno però semplicemente ignorato.
Appare in particolare incomprensibile che non si sia dato spazio – proprio nella stringente logica dell’incombente campagna elettorale – ad una componente significativa del progetto complessivo di Macron, della sua aggiornata visione europea, di una strategia di insieme che potrebbe far convergere, proprio con il superamento di vecchie logiche e di superate contrapposizioni, una destra e una sinistra alla ricerca di un nuovo orizzonte, costruito su idee e progetti e non su stantii risentimenti e livori; e, perché no, su una ritrovata ma meglio condivisa “grandeur”.
l'Abate Galiani
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