Lettera da Parigi
Vi è chi, fra i molti concitati commentatori, l’ha già ribattezzata “drapeau-gate”: l’ennesima polemica esplosa proprio in coincidenza con il Capodanno, con l’apparizione sotto la volta dell’Arco di Trionfo del grande vessillo azzurro dell’Unione Europea, non accenna a sopirsi ed occupa tuttora ampi spazi e commenti sulla stampa e sui media. E ciò anche a dispetto del l’incalzare della pandemia e delle notizie prioritarie sulle misure di salute pubblica.
L’iniziativa voluta dall’Eliseo, insieme ad altre novità di “decoro urbano” (estese a tutto il territorio nazionale) quali l’illuminazione con i colori dell’Europa della Tour Eiffel, degli Invalides e delle sedi dei due rami del Parlamento, era intesa a rammentare ai parigini ed alla nazione l’inizio del semestre francese di presidenza del Consiglio UE: ha scatenato un’ondata di critiche livorose al Presidente Macron ed all’Esecutivo, orchestrate con particolare virulenza dalla destra sovranista.
A dare subito “il la” alla polemica ha esordito il 31 dicembre Marine Le Pen prima ancora dell’avvio delle festività serali, seguita a ruota da Zemmour e, a sinistra, dal tribuno populista Mélenchon, in un crescendo di argomentazioni per lo più artificiose ed in alcuni casi incongrue, lungo il comune denominatore dell’attacco frontale e della denigrazione di Macron. Al tempo stesso si è data così una risposta in sostanza “concertata”, di taglio decisamente nazionalista ed antieuropeo, al conciso, ma intenso messaggio presidenziale di fine d’anno: denso di ottimismo per il futuro, di rivendicazioni puntuali del consuntivo d’assieme del quinquennato, di visione propositiva di una Francia non ripiegata sterilmente sulla nostalgia del passato, ma volta a consolidare il suo ruolo di potenza mondiale, inscindibile dal progresso e dalla crescita dell’Europa.
Sono fioriti argomenti e interpretazioni fantasiose, con il consueto corredo di speciosi riferimenti pseudo-storicistici e di proclami di bolso amor patrio: dalla indignazione per l’insulto patito dalle forze armate, per mezzo dell’affronto subìto dal Milite Ignoto che all’Arco di Trionfo riposa e che simboleggia il sacrificio di tanti per la Francia e non per l’Europa, sino alla violazione del dogma della laicità, offeso dall’ispirazione cristiana dell’aureola “mariana” di stelle al centro del gonfalone europeo, fino all’abuso dell’uso stesso della bandiera europea, ricusata plebiscitariamente dal popolo nel referendum sulla Costituzione europea, e prescelta quasi a soppiantare il Tricolore di cui si è reclamata l’immediata restaurazione!
Al di là della doverosa registrazione, “en passant”, della temperatura della dialettica elettorale e dello scontro frontale che si va definendo nell’attesa della formalizzazione della ricandidatura di Emmanuel Macron, l’armamentario un po’ sgangherato cui hanno fatto ricorso i leaders scesi in campo, non meriterebbe davvero lo spreco di aggiuntive parole o commenti. Se non fosse per il concorso di due coesistenti circostanze aggravanti che ne fanno materia di riflessione politica e che entrambe suggeriscono qui, anche ai commentatori del mondo conservatore, qualche preoccupata osservazione a conferma della piega rissosa e inconcludente che sembra caratterizzare un brutto esordio “in medias res” degli ultimi cento giorni di campagna.
La prima, è rappresentata dall’allineamento sulle posizioni più estreme degli “ultras” di destra della candidata gollista Pécresse, che non ha solamente avallato appieno le virulente dichiarazioni di Le Pen e Zemmour, ma le ha anzi fatte proprie incondizionatamente, con quello che è apparso a molti un imbarazzante “copia-incolla” dei testi da loro diffusi sui social media: non pochi l’hanno giudicato il primo, vero passo falso della Presidente dell’Ile de France.
L’altra circostanza che stupisce persino i più smaliziati fra i conoscitori dell’Esagono e dei suoi pavloviani “tic” nazionalisti, nasce dalla constatazione della unanime, verbosa attenzione riservata da tutti i talk show di ogni tendenza politica proprio a questo argomento, oggetto di ora in ora di interminabili approfondimenti e di prolungate divagazioni ed esegesi, anziché delle immediate stroncature che almeno le più speciose o mendaci delle tesi antieuropee avrebbero meritato.
Valérie Pécresse ha inteso evidentemente profittare di questa cassa di risonanza acritica e patriottarda, per quell’influenza del declinismo catastrofista che sembra contagiare anche le televisioni indipendenti intente, forse anche per la legge dell’audience, a rivaleggiare ormai quasi apertamente con CNews (la rete di Vincent Bolloré), moderno araldo al servizio del verbo tossico di Zemmour. Con una scelta apparsa a molti doppiamente opportunistica, la candidata neo-gollista ha cavalcato le tesi più oltranziste dei suoi rivali di destra, mentre ha affidato in esclusiva al suo ex-rivale Eric Ciotti, nella seguitissima trasmissione domenicale “le Grand Jury”, l’elaborazione delle posizioni del suo partito in materia di sovranità nazionale e di aperta ostilità nei confronti dell’Europa. Un esordio di non buon auspicio per una ipotetica guida alternativa della futura linea europea della Francia: anche se Pécresse dovesse attenuare, una volta raggiunto il suo obiettivo, posizioni incompatibili con la stessa tradizione gollista, la cifra di una primazia nazionale e di una prevalenza ad oltranza degli interessi economico-commerciali francesi (da cui non può del tutto abdicare) finirebbe certamente per invertire la virtuosa linea “riformista” dell’UE lumeggiata dalle intese fra Draghi e Macron con la potenziale solidarietà del Cancelliere tedesco.
La fiducia nel processo di integrazione europea va costantemente degradandosi in Francia e si assottiglia sempre più a confronto con altri fra i principali partners europei, ed in particolare la Germania e l’Italia. È evidente oramai come il tema dell’Europa risulterà centrale nel prosieguo della campagna, sul crinale di una contradditoria crisi di fiducia più epidermica che sostanziale a fronte degli inconfutabili “acquis” dell’Unione (dalla moneta unica ai recenti successi della politica vaccinale e del piano di rilancio economico-sociale) che anche i più spregiudicati nemici di Bruxelles non osano chiamare in causa. Vi è da augurarsi, come ha fatto ieri il Figaro (tentato neppur troppo velatamente dall’avventura Pécresse), che si passi dalle vociferazioni ai fatti e che le settimane a venire consentano finalmente un confronto concreto di programmi e di idee.
La maggioranza presidenziale – che sembra compattarsi, anche se mancano al momento apporti nuovi e forse decisivi, come quello di un Edouard Philippe ancora silente – è sempre più presente nel dibattito, incoraggiata dalle forti indicazioni di Macron; si conferma del resto, con gli aggiornamenti imposti dai cinque anni trascorsi, che lo schema di fondo su cui articolare un progetto per la rielezione rimane quello di un profondo rivolgimento della società e del Paese, con argomentazioni realistiche e ragionevoli. Spunti che sembrano nuovamente suscettibili di attirare, oltre agli elettori di centro, che formano ad oggi lo zoccolo duro delle intenzioni di voto già dichiarate (e consolidate), quelli che non condividono la deriva ultra-conservatrice delle destre o che, smarriti ed orfani della balcanizzata sinistra, riconoscono al Presidente importanti aperture di progresso, per la società e per i diritti: con una particolare condivisione della priorità europea. E che questa rimanga centrale nel progetto macroniano lo ha confermato la prima, vigorosa replica al “drapeau-gate” con la lunga ed articolata intervista curata dalla Televisione di Stato al brillante Segretario di Stato agli Affari Europe Clément Beaune tradottasi in una appassionata difesa degli “acquis” europei, in una minuziosa elencazione dei progetti francesi per la nuova idea dell’Europa lungo le linee prioritarie della Presidenza di turno, ed in una non apologetica difesa delle scelte adottate per celebrarne l’inizio.
Su tutto plana però l’angosciosa incognita della pandemia e il rischio rimane quello che le storiche scelte elettorali della primavera risultino ancorate prioritariamente all’andamento del virus e soprattutto alla tenuta del sistema sanitario nazionale di fronte all’emergenza.
l’Abate Galiani
Comentários