Come ampiamente previsto il governo non ha avuto difficoltà a superare lo scoglio delle mozioni di sfiducia al ministro Bonafede.
Ciò nonostante il dibattito al senato ha costituito una preziosa chiave di lettura del quadro politico. Cosa se ne può ricavare?
In primo luogo, che questa maggioranza e questo governo non hanno alternative. Inutilmente Angelo Panebianco si affanna sul Corriere della Sera di oggi ad auspicare una profonda e repentina trasformazione della Lega tale da consentirne l’entrata tra i popolari europei. Il partito a guida Salvini non è in grado di operare una scelta del genere ed è impantanato in uno schema ormai obsoleto, che efficace fino alla crisi del Papeete mostra, da allora, segni di una profonda crisi, come rilevano tutti i sondaggi che la danno in calo di circa dieci punti a favore di Fratelli d’Italia e di Forza Italia. Ma c’è di più: quando la Lega prova a divincolarsi da questo accerchiamento degli alleati mostra di star perdendo il carisma di guida della coalizione, come si evince dal risultato della mozione Bonino che, pur sostenuta dal gruppo di Salvini, ha ottenuto molti meno voti di quella delle opposizioni di centro destra.
In secondo luogo, si può osservare che le forze per così dire di centro – Italia Viva, Azione+Europa – non hanno alcuna intenzione di creare le condizioni per una crisi di governo che possa portare ad elezioni anticipate. Alcune, come Azione, sono più sbarazzine perché non sono determinanti. Ma chi, come Italia Viva, è decisiva nei numeri, preferisce, dopo aver un po’ scosso l’albero, accontentarsi di far cadere solo una piccola noce nel proprio giardino e sopportare le pesanti ironie di tutto il centrodestra che profetizza a Matteo Renzi un destino di “più posti che voti”.
In terzo luogo, continua a non intravedersi tra i partiti di centro una propensione alla convergenza. Anzi non passa giorno che le distanze tra Renzi e Calenda non si allarghino, come da ultimo dimostra la delicata questione dell’accesso di Fiat Italia ai benefici introdotti dall’ultimo decreto del governo.
Un’ultima osservazione va riservata ai Cinquestelle. L’ennesima bandierina del loro programma originario – la legalità declinata in senso giustizialistico – è stata ammainata ieri per difendere il ministro Bonafede, costretto ieri ad ammettere che il tema giustizia sarà interpretato in termini di coalizione e quindi con toni molto lontani da quelli tradizionali del suo movimento. È facile prevedere che, dopo questa, altre due bandierine saranno presto ammainate: l’anatema sul Mes e il vincolo dei due mandati per gli eletti.
A due anni dalle elezioni del 4 marzo 2018 Lega e Cinquestelle, che veleggiavano insieme verso il cinquanta per cento dei consensi, si vanno oggi attestando a poco più del quaranta. Nello stesso tempo il centro destra, che sei mesi fa veleggiava verso il 50 per cento, ora è al 45 per cento circa ed è ormai apertamente diviso. Difficile non considerare positivamente questi trend. Arduo definirli acquisiti. Molto dipenderà dalla capacità della maggioranza di governo di trasformarsi da maggioranza parlamentare in maggioranza politica.
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