Oggi si aprono formalmente i seggi in Georgia per le elezioni di ballottaggio degli ultimi due senatori del Senato degli Stati Uniti.
Al momento i Repubblicani hanno 50 senatori ed i democratici 48. A questi ultimi serve quindi una doppia vittoria per acquisire la maggioranza (il vicepresidente decide in caso di parità) ed avere possibilità di governare realmente per i prossimi due anni.
Che questo sia necessario è evidente da quanto successo negli ultimi due anni, quando qualsiasi proposta approvata dalla camera dei rappresentanti (a maggioranza democratica) è stata bloccata dal Senato repubblicano. Inoltre è il Senato che conferma il gabinetto dei ministri del presidente, senza dimenticare la nomina dei giudici.
I sondaggi danno un sostanziale toss-up in ambedue gli scontri elettorali sottolineando l’ulteriore incertezza data dal quadro politico, per cui bisognerà aspettare i risultati finali e le certe polemiche che seguiranno.
Polemiche tanto più certe a causa del continuo tentativo di delegittimazione effettuato da Trump e dai suoi sostenitori.
Il periodo post-elettorale è stato tutt’altro che normale. Trump ed i suoi sostenitori hanno portato centinaia di cause davanti ai giudici per sostenere una frode ai danni del presidente di proporzioni gigantesche. Tutte le cause sono state rigettate spesso con scorno da parte dei giudici per l’assoluta infondatezza delle accuse, e spesso da giudici conservatori nominati da Trump.
Ma questo non è bastato.
Trump ha fatto pressioni, inutilmente, perché gli Stati non riconoscessero i risultati del voto e domani sembra ci possano essere fino a 150 deputati che si opporranno al riconoscimento del voto.
Chiariamo quale sarà domani l’ultimo passaggio di questa contestata elezione.
Il 6 gennaio avviene l’ultima conta dei grandi elettori in quella che di norma è una formalità che non fa notizia ma che, invece, domani mostrerà un vero scontro fra coloro che ancora riconoscono le libere elezioni negli Stati Uniti d’America e coloro che, al contrario, non vogliono riconoscere i risultati a loro sfavorevoli.
Di norma il vicepresidente in carica (Pence) presiede le camere riunite, fa lettura dei risultati Stato per Stato e chiede se ci sono obiezioni da parte dei deputati e senatori. Per sollevare un’obiezione al conteggio di uno Stato ci devono essere almeno un deputato ed un senatore. In assenza di obiezioni, il risultato viene certificato. In caso di obiezioni (e ricordiamo che non si verificò neanche nella famosa contestazione sulla Florida fra Bush e Gore nel 2020), le camere si separano e votano ciascuna per conto suo. Nel caso non siano d’accordo (cosa praticamente certa visto il diverso allineamento), la decisione spetta al governatore (che, ricordiamo, ha già certificato il risultato).
Come detto, sembra ci possano essere fino a 150 deputati, tutti repubblicani, pronti a non riconoscere i risultati degli Stati con risultati più ravvicinati. E ovviamente non vogliono riconoscere gli Stati vinti dai democratici, mentre non hanno problemi per gli Stati vinti dai repubblicani.
Non pensiamo ci saranno sorprese, ma certo la scena non è edificante per una democrazia.
Inoltre, l’ultimo scandalo è la telefonata con cui Trump ha chiesto al Segretario di Stato della Georgia di trovare 12000 voti per invertire il risultato. La telefonata è stata riprodotta dal Washington Post ed ha aperto una immediata discussione su quanto questo tentativo sia un vero e proprio reato di tentata corruzione, che dovrebbe portare all’impeachment immediato (Nixon si dimise per una telefonata simile ma dichiaratamente meno grave).
Vi sono talmente tanti sviluppi ed incertezze cha quasi non ha fatto notizia la lettera congiunta di otto Segretari della Difesa (di ambedue gli schieramenti) che assicuravano che l’esercito non si sarebbe schierato per Trump!
Per tornare alle elezioni in Georgia, l’ulteriore incertezza è quanto tutto questo possa influenzare la partecipazione al voto (che ricordiamo è stata da record nelle elezioni presidenziali) degli elettori dei due schieramenti.
Vedremo nei prossimi due giorni l’evolversi della situazione.
Andrea La Malfa
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