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Un clima avvelenato

Sondaggi e previsioni stabili nel panorama delle elezioni americane: Fivethirtyeight d a Biden una probabilità  al 77%, l’Economist all’85%. Un nuovo sondaggio Siena/NYT da Biden a +8% su scala nazionale.

I sondaggi relativi agli Stati dove si svolge la battaglia cruciale per la maggioranza nel collegio elettorale danno risultati lievemente più sfavorevoli per Biden in Pennsylvania e Florida ma più favorevoli in altri Stati come il  Wisconsin, la North Carolina e l’Ohio. Quindi complessivamente non è cambiato molto nelle ultime due settimane.

Il primo  dibattito presidenziale avrà luogo martedì prossimo. Si vedrà a fine settimana se e quale effetto avranno avuto sugli orientamenti dell'elettorato.

Sicuramente l’attenzione maggiore di questa settimana è stata la vicenda della sostituzione in corsa da parte di Trump  del giudice della corte suprema Ruth Bader Ginsburg, icona liberale e la sua scelta di una ultraconservatrice.

Le polemiche scaturite da questo sono di due tipi. Nel 2016 i repubblicani avevano bloccato la nomina da parte di Obama del giudice Garland per quasi un anno sostenendo che fosse scorretto per un Presidente fare una designazione in un anno elettorale e che la scelta andava lasciata al suo successore. Ora, invece, i repubblicani non si fanno scrupolo, a meno di 40 giorni dalle elezioni, di voler procedere alla nomina di una personalità fortemente di parte. Il sistema americano non era abituato a questa spregiudicatezza di comportamenti. Vi era stato un certo fair play in passato su questioni come queste. Il clima evidentemente è cambiato: tradizionalmente la politica americana vedeva una prevalenza di opinioni al centro dello schieramento e i Presidenti tendevano a tener conto di questo orientamento della maggioranza dell'elettorato. Ormai invece il clima è di scontro e il fair play scompare quasi completamente.

Il secondo fronte di polemica riguardo questa nomina è dovuto alla possibilità, non troppo remota, che Trump abbia in mente di contestare qualsiasi risultato elettorale adducendo  presunti brogli (facendo leva anche sul fatto che con il voto via posta i risultati potrebbero cambiare fra il 3 novembre, giorno delle elezioni, e la fine della settimana, data per cui sono conteggiati i voti arrivati via posta). In caso di un conflitto nell'interpretazione dell'esito del voto,  la legge americana prevede che la decisione sia affidata alla Corte Suprema una Corte in cui 6 giudici  conservatori (Trump ne avrebbe nominati ben 3) potrebbe decidere a vantaggio di Trump stesso.

In questo senso la polemica continua di Trump contro il voto via posta e il rifiuto di dichiarare che accetterà i risultati del 3 novembre, sarebbero la premessa  di una contestazione da muovere all’indomani del voto per trasferire la decisione alla Corte Suprema.

Uno scenario inquietante per chi vede negli Stati Uniti uno storico esempio di democrazia ma anche una conferma che i sistemi presidenziali funzionano bene quando prevalgono orientamenti di centro nell'elettorato, ma divengono estremamente rischiosi quando le posizioni tendono a polarizzarsi e a radicalizzarsi. In questo senso molti americani si vanno convincendo e sono già convinti che i sistemi parlamentari hanno grandi meriti.

Proprio quei sistemi parlamentari che i nostri demagoghi disprezzano tanto...

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