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“Uno dei due ha commesso un tragico errore”

“Uno dei due ha commesso un tragico errore”. Questo fu il commento laconico di un attento osservatore delle vicende del suo tempo a proposito di un’operazione che coinvolgeva due personalità del mondo finanziario con interessi fra loro molto diversi. Questa osservazione ci è tornata in mente nel momento in cui si è formato il governo Draghi e si sono divaricate le posizioni dei due maggiori partiti di destra e da allora ci accompagna nel valutare l’evoluzione della destra italiana.

A noi sembra che né il senatore Salvini, né l’on. Meloni abbiano riflettuto a fondo sulle implicazioni politiche di questa divaricazione e che le stiano scoprendo solo adesso. Forse è perché non è mai esistita una vera alleanza fra le diverse espressioni della destra, ma solo una coabitazione forzata prima imposta da Berlusconi, poi prodotta dalle leggi elettorali. Così, di fronte alla prospettiva del governo Draghi i due partiti hanno imboccato due strade diverse, senza riflettere sulle conseguenze di medio e di lungo periodo che questa divaricazione avrebbe potuto produrre e sta producendo.

A una osservazione superficiale, si direbbe che l’errore lo abbia commesso Salvini che non riesce a trovare una posizione politica efficace e vede Giorgia Meloni guadagnare quasi quotidianamente consensi in quell’elettorato di destra che evidentemente è comune ad ambedue i partiti. Il problema di Salvini è che perde consensi sia se alza la voce rispetto al governo, sia se non lo fa. Se alza la voce, non solo rischia di alienarsi quella parte dell’elettorato moderato che considera positivamente il governo Draghi – diciamo così l’elettorato di Giorgetti e di Zaia – ma, cosa ancor più grave, dà implicitamente ragione alla Meloni per la quale è facile dichiarare che tutto quello che fa il governo è sbagliato o quantomeno gravemente insufficiente. Ogni volta che Salvini chiede al governo qualcosa di più o di diverso, rende testimonianza a favore della Meloni. Ma se non lo facesse e non parlasse, la Meloni potrebbe facilmente accusarlo di essersi “accasato” con il PD e i 5 Stelle.

Salvini dunque è in un mare di guai e, avendo dichiarato che il leader della coalizione è quello che prende più voti, rischia di preparare la strada alla leadership di Giorgia Meloni. Si capisce che vorrebbe accorciare l’agonia e andare alle elezioni prima che il sorpasso sia avvenuto. Ma non è detto che ci riesca, anche perché ben difficilmente le Camere potrebbero essere sciolte prima dell’autunno del 2022, quando probabilmente i sondaggi avranno rivelato il sorpasso della Meloni.

Dunque il tragico errore potrebbe averlo commesso Salvini. Ma è così? Dipende dalla prospettiva a medio termine. Non c’è dubbio che, per rifarsi a un precedente storico, la partecipazione dei socialisti alle maggioranze ed ai governi di centrosinistra dagli anni Sessanta in avanti aiutò la crescita progressiva del PCI, fino al famoso soprasso sulla DC della metà degli anni Settanta. Ma quella rendita di posizione del PCI aveva una contropartita nel fatto che il PCI si rafforzava all’opposizione, ma lì restava confinato.

Del resto anche la destra guadagnava voti in quegli anni stando all’opposizione. Nel 1972 il MSI sfiorò il 30 per cento a Catania e vinse le elezioni in Calabria. I due partiti di estrema destra, MSI e Monarchici (Alleanza nazionale) superavano abbondantemente il 10 per cento. Ma stavano all’opposizione e se guadagnavano da una parte, perdevano dall’altra. Insomma servivano solo come truppe cammellate per la destra democristiana. Questa è la prospettiva, se la Meloni avesse commesso lei il tragico errore di non votare per il governo Draghi, contribuendo a definirlo come un governo di pura emergenza.

Giorgia Meloni potrebbe essere riuscita nel capolavoro di annullare il successo di Fini, che fu quello di togliere l’estrema destra dall’isolamento, ricollocandosi in un angolo della politica italiana nel quale si possono raccogliere anche molti voti, ma si è fuori dall’area e dall’azione del Governo. Sarebbe tornata alla linea di Almirante e si sarebbe cacciata in un angolo dal quale non la tira fuori più nessuno?

Se Salvini riflette attentamente su questi precedenti storici, potrebbe trasformare una posizione che oggi sembra molto difficile in una posizione di forza. Basterebbe che lavorasse a un rapporto più stretto con Forza Italia e aderisse al gruppo parlamentare popolare nel Parlamento Europeo. Potrebbe dire che la formula della solidarietà nazionale durerà tutto il tempo necessario, che il governo Draghi proseguirà per tutta questa legislatura e forse ancora più a lungo se farà bene. Potrebbe dire che egli ha qualche preoccupazione non a governare Roma o Milano con la Meloni, ma ad andare al governo con un partito che non ha valutato, come la Lega, la situazione drammatica del Paese che il governo Draghi sta affrontando. Se invece di vergognarsi di essere al governo, dicesse che a dolersi di non esservi dovrebbe essere la Meloni, l’emorragia dei sondaggi secondo noi si arresterebbe.

Insomma, la storia è lunga: quando all’inizio degli anni Sessanta, il PSI e il PCI divaricarono le loro posizioni dopo il Fronte Popolare, non tornarono mai più insieme al governo. Mai. Il PCI prese molti voti, ma il PSI aiutò a cambiare il volto del Paese con le riforme degli anni del centrosinistra e poi ebbe la Presidenza del Consiglio con Craxi.

Se lo ricordi Salvini e cominci a rifletterci.

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